Critica

In questa sezione puoi trovare una selezione di estratti da testi critici riguardanti Nene Martelli.
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Á Nene Martelli
qui, comme moi,
aime se perdre
dans le labyrinthes,
puisqu’en s’y perdant
elle s’y trouve!

En amical hommage,

Michel Tapié de Celeyran

Mostra personale di Nene Martelli, Galleria Centronuovo, a cura di Lucio Cabutti e Mabel Chiappo

Les saturations, les ruptures et les possibilités de départ ailleurs et autrement vers sinon dans un ère devenue “AUTRE” constituent l’aventure de l’actuelle épistèmologie, incluant donc tant la philosophie scientifique que l’esthétique donc l’art.

L’évidence de tout ceci n’est pas si facile à vivre, tant pour l’artiste que pour l’amateur d’art: avoir passé en moins d’un siècle de la première rèaction impressioniste contre la saturation académique d’un classicisme épuisé aux structures ensemblistes et aux “ESPACES” abstraits, qui normalisent rapidement un AUTRE acquis possible à une puissance axiomatique infiniment sinon transfiniment généralisables, est remarquable dans le sens du nécessaire autant que difficile reconditionnement quasi-total de nos réflexes de perception psycho-sensorielle.

L’oeuvre actuelle de Nene Martelli témoigne normalement de ce changement de puissance des structures de type artistique, pour la joie esthétique des “amateurs” qui trouvent l’intersection ou s’unissent avec ces oeuvre d’art témoignant de l’actualisation du support d’un enchantement propre à l’art lui même à une puissance plus générale et donc plus profonde. Ici jouent, toute individualité artistique sauvegardée, et en fin de comptes normalement, la conjonction multivalence-répétition, l’une des plus déterminantes pour l’art d’aujourd’hui et les bases pour une esthétique géneralisée à cette autre puissance.

Mostra personale di Nene Martelli, Galleria Centronuovo, a cura di Lucio Cabutti e Mabel Chiappo

(…) Precedentemente, la sua visione si era assestata, dopo l’esordio figurativo, nei termini di una rappresentazione che tendeva all’astrazione nella misura in cui ricuperava un impulso vitalistico mediante lo spigliato generarsi di una tessitura grafica, sempre immersa però nella densità di una resa fluente ottenuta con la materia della pittura; e questa carica di vitalità, questo rilancio di una natura non più assiomaticamente raffigurata come riconoscibilità ottica, ma visualizzata come atteggiamento emergente all’interno stesso dell’operazione artistica, cui non era estranea per affinità di orientamento l’opera dello scultore Gianni Fenoglio, implicava in lei anche un riferimento alla comunicativa immediata, istintuale e inventiva, del disegno infantile, nel senso alternativo e innovatore assunto attraverso numerose esperienze e sperimentazioni dell’arte moderna. (…)

Á Nene Martelli

À l’occasion de son exposition

A Nuoro en Novembre 1975

La peinture, dans les arts plastiques, a une merveilleuse aventure à jouer, dans l’exploration indéfinie des ambiguités spatiales. Où elle est beaucoup plus à l’aise que l’architecture necéssairement liée, comme la sculpture; à la géniale convention euclidienne et aux lois phisiques de la pesanteur et des materiaux, se dégageant de la longue normalisation des humanismes lyriquement dépassés dans leurs limites structurelles par les possibilités algorithmiques des architeches arabes, gothiques, et baroques (de Guarino Guarini à Antoni Gaudì).

Ambiguités spatiales… dépuis les possibilités d’indéfinis dépassements offertes par la tabula rasa de Nietzsche, puis celle de Tzara (cf. manifestes dada), la peinture a d’abord explosé, puis, car on ne s’installe pas artificiellement-academiquement dans l’explosion, se doit de continuer indéfiniment, nous l’expérons les possibilités de sa non moins indéfinie multivalence, ambiguiré comprise:… Ici des espaces ensemblistes abstraits composés de sous-ensembles géométriques d’éléments-points à la puissance de la perception psycosensorielle des oeuvres d’art par les authentiques amateurs qui cherchent et trouvent leur “Incantamento” dans la magie rayonnant  d’évidentes oeuvres d’art à nous proposées… rien de moins et rien d’autre.

Á Nene Martelli

Amitié et admiration

En art la liberté est aussi importante que dangereuse… mais elle “est”, car il ne peut être question d’art que quand art il y a, totalement et rien d’autre.

La tabula rasa nietzschéo-dada a amené l’esthètique à changer de puissance, d’ou la fabuleuse aventure d’un temps “autre” qui ne fait que commencer: Miro, Hofmann, Tobey, Fautrier, Pollock, Insho, Yoshihara, Tabrizi… etc…qu’est ce que quelques quatre ou cinq dizaines d’années en face des possibles millénaires en cette puissance autre?… L’aventure esthètico-artistique est aujourd’hui fabuleuse, pièges compris, hélas!!! (et peut-être tant mieux, dans ce milieu artistique assez encombré!).

Je me souviens, soutenant, dans les dernières années 40, avec l’architecte Luigi Moretti, l’oeuvre de Capogrossi, qu’un jour j’exprimais des doutes sur le devenir de son unique élément de répétitions… Moretti me dit simplement “vous qui savez que si Capogrossi a trouvé son algoritme, il peut le dèvelopper indèfiniment sans aucun danger d’auto-académisme…”. Il y a eu dépuis le “trou” de Fontana et d’autres artistes de classe ont trouvé le leur: parmi eux se situe normalement aujourd’hui Nene Martelli.

Une recherche sérieuse l’a amenée il y a quelques années à organiser des surfaces à peu à peu près carrées avec un certain nombre de sous-ensembles, souvent trois fois trois, mais allant heureusement aussi jusqu’à huit fois huit en découpages

Pro Spoleto, a cura di Gabriella Bairo Puccetti e Marsciano (PG) – Salone Consiliare comunale, a cura di Gabriella Bairo Puccetti

(…) A prima vista è facile intravedere elementi di cultura cinese, o ravvisare nella ripetitività del segno, esperienze di altri noti autori, ma alla lettura attenta dell’opera di questa artista, emerge un codice personale di ritmi e segni ed un’originale estrinsecazione organica e surreale.

I riquadri che racchiudono il segno, non sono per la Martelli un puro fatto geometrico, o soltanto un discorso tra spazio e forma, pur rispettando l’armonia del rapporto, sintomo di un profondo senso estetico; ed ogni nota, o segno, o colore, non ha il semplice scopo di cooperare alla determinazione di una estetica di facili suggestioni.

Le linee che formano i quadri, sono le corde dell’ansia con cui l’artista frena la propria irruente tensione e il segno è la metamorfosi dell’immagine che scaturisce da un archivio interiore colmo di acquisizioni e di emozioni varie, divenute materia nel corso del tempo.

, n. 102, luglio, pp. 163–164

Nene Martelli – Il distacco dall’ideologia, il rifiuto delle tendenze, la disinvolta contaminazione stilistica, l’ebbrezza dionisiaca della manualità, la passionalità del dipingere, il sensuale recupero dell’ego: nel momento del nietzscheano crepuscolo degli idoli, l’arte abolisce lo spirito di sistema per restituire predominanza alla presenza individuale. Si tratta in fondo a ben pensarci, di un modo di rifondare un sistema dell’arte.

(…) la Martelli si abbandona al piacere di una più aperta e libera sperimentazione. All’interno della griglia geometrica, il suo lavoro si configura come una sorta di archivio, di campionario di segni significativi. La griglia funziona allora come una scacchiera su cui l’esperta giocatrice rinnova continuamente la sua tecnica. Sono simulacri di scrittura, quasi rarefatta nella elementare stesura che rievoca l’imagerie infantile oppure puntigliosamente allineata in regolare cadenza, il baluginante splendore degli ori che rivestono o sottendono l’immagine, ri/flessione su referenti culturali fascinosi (da Bisanzio all’alchimia), effusioni cromatiche che restituiscono al colore il suo valore compositivo, simboli grafici disposti con felice inventiva (piccole croci, virgole, semicerchi), simulacri di mitologie artistiche e personali. L’opera si presenta dunque come una struttura variabile abbastanza ambigua e inquietante, portatrice di una insospettabile gerarchia di valori. Il quadrato che campisce la superficie in ordinata sequenza diviene così lo strumento per una sorta di furtiva ricognizione dell’immaginario, per l’immanente costituirsi (in una situazione di fluido “nomadismo”) dei dati della memoria e del vissuto in fatto visivo.

Galleria Il Brandale, Mostra personale di Nene Martelli, Il momento dell’immagine, a cura di Angelo Dragone

Immagino che la gioia di dipingere quadri come questi possa somigliare allo stupore intenso e rapito di chi, occidentale, studiò per primo le calligrafie orientali. Ma viceversa anche, dato che non differiscono le estasi: così il pittore d’agili gru stupì di fronte a un ampio dorso michelangiolesco. E le vicende artistiche tanto per balzi e ricordi estatici proseguono, s’affacciano e tornano. (Nervi, 7 marzo 1985)

 Galleria Il Brandale, Mostra personale di Nene Martelli, Il momento dell’immagine, a cura di Angelo Dragone

(…) Dai due piani su cui s’andava svolgendo intanto il poetico ricercare della Martelli, quello che emerge presenta, nel suo discorso figurale, il carattere d’una segnica continuità scribillare, capace di mantenere il suo indirizzo iconografico su motivi che paiono affiorare dal profondo d’una esperienza fatta di istinto ed intuito, ma anche di sapienza, per certi procedimenti acquisiti operando anche in altre direzioni. S’apriva in tal senso da un lato verso la logica incantevole di un’ornata visione propria dell’infanzia (che la Martelli stessa s’era adoprata ad educare alla creatività) con la riscoperta di quei segni – lo scribillo appunto – che al limite del biologico andavano minando la primitiva attività disegnativa (e motoria) del bambino (ben nota agli psicologi della età evolutiva) ma che s’era peraltro annunciata anche nella primordiale fase dell’interpretazione visivo-spaziale dell’uomo primitivo, e non a caso – riconquistandone l’originale carica semantica – quando ricompare dopo le ultime manifestazioni estetiche della complessa congiuntura propria di una civiltà, come la nostra, giunta alla sua crisi conclusiva. (…)

Segno e scrittura, a cura di Sandro Cherchi – consulente per le arti figurative e Luciano Cherchi, testo in catalogo

Dopo le sue prime prove nella pittura figurativa, l’incontro con l’informale e lo spazialismo (Tapié, Fontana, Capogrossi, Crippa) rinnova in Nene Martelli l’interesse, anche praticato precedentemente nel campo educativo, per l’espressione gestuale grafica-materica del segno. Le sue radici e la sua formazione artistica sono complesse: dal Futurismo (Boccioni) alla pittura informale segnica, dalla Secessione all’applicazione di un’arte ingiustamente detta subalterna a proposito dei lavori cosiddetti “donneschi” (il punto-croce nella tessitura dei tappeti, la ripetizione delle sigle, il ritmo).

Galleria Studio B2, Gli anni dell’informale a Torino, a cura di Stelio Rescio

(…) Nell’opera di Nene Martelli ritroviamo questa discontinuità rispetto all’esistente, che si è prodotta una volta per tutte nell’immediato dopoguerra ad opera di quel “disordinato” e “multipolare” movimento che è stato l’informale, alla cui fonte originaria – lo ricordiamo – la pittrice torinese ha potuto attingere. Da qui la salda base su cui poggia la sua elaborazione formale, che le consente di procedere oltre, dando vita ogni volta a nuove aggregazioni di immagini inconfondibilmente proprie, per la presenza di alcune costanti. Anche nel rapporto invarianza-varianti su cui viene a costruirsi lo svolgimento di una prolungata esperienza operativa ritroviamo la capacità di questa artista di sottrarsi alla routine. Tutto questo vale a marcare la distanza da certe, non infrequenti, riproposizioni dell’informale, recitato in versione neoaccademica che portano acqua al ricomporsi delle prevedibilità – dopo la salutare rottura operata dai protagonisti storici – in cui risiede l’insopprimibile fisiologica aspirazione del perbenismo culturale di ogni tempo. (…)

 Galleria Il Brandale, Nene Martelli Gianni Fenoglio, a cura di Sandro Ricaldone

(…) Si comprende, da ciò, come la struttura iterativa non si esaurisca – nell’opera di Nene Martelli – nella proposizione di un segno predeterminato ma divenga, piuttosto, una sorta di variazione diffusa, seguita istante per istante, pretesto “à des jeux graphiques heureux” (Tapié, ancora) condotti misurandosi con l’“immer wieder”, il “sempre nuovo” rilkiano che Pietro Chiodi elevava, in uno scritto apparso su “I 4 soli”, a tratto costitutivo dell’arte. (…)

Anche l’ordinata scompartizione del fondo si è modificata in misura sensibile, assumendo in positivo aspetti d’incompletezza e di multivalenza, aprendosi a quella dissimetria e di multivalenza, aprendosi a quella dissimetria che Pinot Gallizio invocava contro la Noia Cristallina, disponendosi insomma – come ha osservato Stelio Rescio – all’azzardo. Percorso controcorrente in tempi di arte postumana e digitale, compiuto avendo però sempre di mira quell’ “incantamento” passionale che, secondo Luigi Moretti (e Tapié con lui), costituisce il nucleo dell’esperienza creativa.

edizioni Studio B2; ristampa (2000)

(…) Questo io della Martelli, sebbene viva in un concreto mondo esterno, riconquista la propria soggettività nel rompere completamente i legami con questo reale, volgendosi all’espressione del proprio intimo, che esprime direttamente sulla tela il suo ritmo vitale. Arriva sulla superficie una sequenza di segni-scrittura, segni che non sono ideogrammi, ma una ripetizione accanita che chiede di essere ascoltata, non come ripetizione meccanica bensì come modulazione delle emozioni, e pensa il tempo in termini di spazio, e lo spazio in termini di tempo perfettamente integrati. Sul quadro-casellario, sul quadro-schedario, le cellule-segno possono riprodursi all’infinito, come una “sensazione dinamica” di memoria futurista. Nel dare scansione al suo segno-scrittura la Martelli intuisce le inesauribili possibilità che questo, proprio per il suo carattere linguistico, porta in sé come via d’accesso alla sfera spirituale. Esso diventa allora anche un rinvio ad un’ulteriorità di senso, rispetto ai sensi codificati, che non dimentica il significato profondo delle suggestioni Zen, cioè dell’illuminazione cognitiva orientale, volta alla comprensione della relazione fra le cose. Quest’arte dell’essenziale della Martelli è comunque profondamente diversa dalla tradizione artistica orientale: quella che per i giapponesi, o cinesi, è una forma di esistere, per noi è una forma dell’azione, per loro un modo di aprirsi alla vita universale, per noi una forma di sintesi, e anche una presa di posizione estetica.

(…)

Galleria Il Brandale, Opere Storiche 1970–1998, a cura di Dario Salani

(…)Nene Martelli che “ama perdersi nei labirinti” (Tapié) ha diretto la sua codificazione figurale attraverso complesse strutture teoriche, vicine alle logiche filosofiche dell’epistemologia, ma anche alla fisica quantistica, alle teorie dell’ordine e del caos. La crittografia cifrata attribuita ad influenze orientali, filtrata attraverso pratiche spirituali, passante per la concezione semiotica occidentale, trova così differenze, referenze e rimandi ben più estesi e complessi. (…)

La spiritualità dell’arte, di retaggio kandiskyano, si amalgama alla configurazione scientifica, il sentimento interno, le esperienze di vita, la luce e l’oscurità alle geometrie della natura; un incontro tra il mondo reale e quello ultraterreno, tra logica e magia, tra cielo e terra. (…)

Edizioni della Libreria

(…)

Io vorrei essere

Il tuo oro e il tuo argento

Davanti celeste.

Sotto i giacinti

C’è una lettera

Che ho nascosto nel seno

E tra i narcisi

Fiocchi di nastro.

Ora sono completamente 

Sazio.

Sono un quadro 

Di Nene!

Mirella Bentivoglio, 2000, Nuove Pareti, Rassegna d’arte contemporanea a cura di Mario Palmieri, Nene Martelli, a cura di Mirella Bentivoglio, Bassano in Teverina (VT) – Associazione Culturale Stelle Cadenti

… a strutture modulari di quadrati dorati o argentati, stesi manualmente, si sovrappongono “improvvisazioni” di segni iterati, quasi scritturali, scanditi in sequenze, con un rinvio a protoalfabeti primitivi o alle incerte aste dei quaderni scolastici: un’espressione gestuale di ritmi interiori e una meditazione silenziosa al di là del soverchiante ingorgo della comunicazione generalizzata.

Ma è sull’opera di Nene Martelli che dobbiamo soffermarci, registrandola come una delle manifestazioni pionieristiche, nella sua versione europea, della pittura informale, che Tapié aveva teorizzato nel volume-manifesto pubblicato nel 1952, Un art autre, come a voler marcare con nettezza la rottura operata nei confronti delle esperienze che allora tenevano il campo nelle arti visive; e che, dagli anni Sessanta in poi segnerà la temperie artistica di un’intera epoca.

Sono sostanzialmente due le componenti che contraddistinguono l’opera dell’artista torinese: la presenza di una struttura portante (leggibile come metafora della consistenza del dato reale) e l’‘intervento’, materializzazione di un impulso vitale che si evidenzia nel segno, il più delle volte iterato quasi a voler proporsi come serrata sequenza di numeri e in quanto scrittura che mima le aste delle prove infantili: una regressione, si direbbe, al mondo pre–culturalizzato, ma che ci sembra lecito interpretare come un’anticipatrice presa d’atto dell’usura cui era sottoposto il linguaggio, fino a comprometterne la stessa capacità di comunicare.

(…)Più che riprendere l’antica tradizione ornamentale (i cui esempi sono diffusi a livello planetario: dalle decorazioni dei menhir nordeuropei alle calligrafie arabe, dagli yantra indiani a taluni schizzi leonardeschi) o seguire precise suggestioni matematiche, l’artista sembra captare in profondità una disposizione che fa del nodo – basti pensare all’ambito delle reti comunicative – una delle articolazioni essenziali della contemporaneità.

Se fra le opere esposte allo studio B2 questa tematica si manifesta allo stato nascente, il suo emergere rende la misura di una creazione in perpetuo divenire. Indispensabile per chi è rimasto sensibile all’ammonimento di Tapié: L’AVVENTURA È ALTROVE E ALTRIMENTI.

 (…)Si ravvisa in Nene Martelli il senso dell’esistenza, il fremito di un ricordo, la misura di una ricerca che sfocia nella sperimentazione e nella musicalità di un gesto che disegna nell’atmosfera un segno purissimo come un graffito riemerso da lontane sedimentazioni del pensiero, del tempo, della civiltà. (…)

Il fluire del segno, la controllata cromia, gli studi per una Via Crucis e le liriche icone, le pagine di una essenziale scrittura, appaiono gli elementi di una avventura che trova la sua dimensione nello spazio, nell’inesauribile rinnovarsi della memoria, nella luce che accende l’“Omaggio a Michel Tapié” o un’incantata e incantevole Venezia.

Galleria Anna Osemont, a cura di Gian Carlo Torre, testo in catalogo di Bruno Mozzone

(…) ed allora l’arte di Nene Martelli non si limita al carattere formale della cosiddetta “rivoluzione” lettrista, che corre sempre sul filo del calligrafismo: con le sue ultime opere supera la logica della rappresentazione, per dar voce all’interiorità, all’irrazionale o, almeno, al “metarazionale”, che d’altra parte era già presente nelle realizzazioni pittorico-filosofiche di ispirazione ZEN del Centro torinese di Tapié. Ed allora l’arte di Nene diventa simbolica: al di là della struttura semplice, nelle sue opere sentiamo la necessità intima di rapportarsi ad una ricchezza esistenziale che le permette di muoversi tra segno e colore, tra le superfici di supporto e le metafore visive, giocate sulla ritmica varia e non effimera dei loro calligrammi,. (…)

Castello Cinquecentesco, Mostra personale di Nene Martelli, Un magistrale spazio artistico, a cura di Mirella Bandini

Con Tapié, si può riconoscere come i dipinti dell’artista di quegli anni, e in parte ancora in quelli di oggi, fossero molto vicini alla visione aperta della complessità, nonché ai principi dei sistemi dinamici e della instabilità. Essi mescolano misteriosamente simmetrie e asimmetrie, ordine e caos, e hanno curiose analogie con la nuova geometria frattale. L’artista era a diretta conoscenza di come Tapié fosse uno dei primi critici d’arte europei interessati alle ricerche della nuova scienza (le teorie di Cantor, di Russel, di Poincaré e del matematico Fréchet). Nelle opere qui esposte, straordinaria è la sensuosità del colore, brillante, ricco, fascinatore: un colore-luce (alcune volte Nene usa l’oro e l’argento) che emana e esalta figure caotiche. “Scrivo direttamente sulla tela con i tubetti di colore: uso raramente il pennello” afferma.

Ne risulta un’espressione grafico-gestuale immediata, rapidissima, che dona al dipinto una sorprendente freschezza.

(…) Molte volte il segno diviene lettera alfabetica, disseminata sulla tela come in una metagrafia lettristica; oppure si articola in versi poetici, tratti dai “Cantos” di Ezra Pound. Tutti i critici d’arte che si sono occupati del suo lavoro (da Stelio Rescio, Luigi Maggio. Sandro e Luciano Cherchi, a Angelo Dragone, Lucio Cabutti, Marisa Vescovo, Angelo Mistrangelo, Germano Beringheli, Giorgio di Genova) ne hanno rilevato la scansione rigorosa dello spazio e la libertà del segno. Due elementi che l’artista sa dosare d’intuito e che incessantemente rinnova con slancio dinamico, a cui imprime una carica arcana e vitalista che emana dal quadro e che coinvolge e incanta lo spettatore.

in Nene Martelli, Insieme di insiemi. Autobiografia di una pittrice nella Torino dell’ICAR, luogo di favolosi incontri, L’Atelier Verde, Torino 

… è la spigliatezza che troviamo nei suoi quadri, i colori brillanti, il segno veloce, leggero ma ordinato e preciso nel suo scorrere. Altri hanno scritto di lei parole anche difficili, ma unico è stato Tapié a riconoscerne la magia e l’incantamento che provocava, come unico è stato Brusco a cantarla come una vagabonda di Venere e Stelio Rescio a riconoscerla come la depositaria del dono divino che hanno i bambini…

(…) Ho avuto la fortuna di incontrarla di recente nella sua casa e mi ha portato di fronte a una grande tela del ’76, “Icona”, un’opera presente nella mostra personale all’I.C.A.R. Un autentico capolavoro. Sul fondo screziato, di color cuoio brunito dal tempo, suddiviso da campi quadrati accostati senza acribia e quasi con negligenza, una fitta proliferazione lineare di centinaia di segni, di grovigli, di piccoli grappoli rossi, di virgole, di tratteggi inclinati, di scalfitture, di striature orizzontali, di macchie, di sbavature di colore, di minuscoli cerchi interrotti e tracce di un alfabeto dimenticato.

In basso, su due campi liberi, di un pallido giallo dorato, labili segni spezzati come residui di un disegno cancellato o assorbito dalla tela. Mentre continuavo a fissare quella tela, senza riuscire a staccare lo sguardo, mi ritornò alla mente un brano del libro nono del “De re aedificatoria” di Leon Battista Alberti, dove per esemplificare la sua idea di bellezza parla dell’architettura povera, senza autore, dei paesi italiani, nella quale scorge, pur essendo fatta di materiali diversi e “ragunaticci”, la grazia della perfetta “concinnitas” nell’accordo, arduo ma fecondo, della “varietas” e dell’“ordinatio”, per cui “nulla si può togliere e aggiungere che non venga peggio”. In quella tela, come in altre di Nene, avvertivo la sua capacità di mettersi in ascolto dell’opera, di sentirne il brusio, di captare il momento nel quale tutte le voci si raccolgono in una sola voce, in un canto solo, il suo canto di sirena. Mutismo; fine del commento, vaniloquio di ogni discorso. Così, quel giorno, uscendo dalla sua casa, ho portato con me la visione di un’opera con radici profonde non solo nella cultura artistica del suo tempo ma con l’ancora viva e grandiosa cultura dell’Umanesimo italiano.

febbraio 2017

Ho conosciuto l’arte di Nene Martelli, tardi. Ahimè me ne rammarico. Sono venuto in contatto con la sua ricerca estetica quando il suo linguaggio che rivelava una molteplicità espressiva raffinata e potente, lirica e razionale al tempo stesso, era già maturo e compiuto, ma volgeva al termine a causa di un tremore agli arti che le avrebbe impedito di operare in questi ultimi anni.   Sono rimasto fortemente impressionato dalla sua forza espressiva, immediatamente, fin dalla prima volta che vidi una sua opera. Correva l’anno 2006. Facevo parte della giuria del sesto “Premio nazionale di Pittura e Scultura” promosso dall’Assessorato alla cultura del comune di Novara e dall’associazione Art Action che prevedeva l’esposizione delle opere selezionate in concorso, nell’ aulico salone dell’Arengo del Broletto. Nene aveva presentato una tela di un metro per un metro eseguita con tecnica a olio e foglia d’oro zecchino, dal titolo: “numeroter”, dove  lo spazio pittorico suddiviso in 36 fenestrature dorate (multiplo del numero tre) formava una gabbia di reticoli ortogonali. La simmetria compositiva era arricchita al centro con una concentrazione di punti, macchioline, virgole e piccoli segni disposti in modo non casuale, bensì con meditata precisione e in sequenze lineari. Forse lettere di un alfabeto sconosciuto aggregate in modo ordinato, come un testo poetico. Ne intravvedevo una lingua che precedeva ogni forma di scrittura, antecedente alle strutture storiche codificate, uno schema assolutamente libero che nelle sue forme semplificate rimandava ad un universo misterioso e primitivo, un mandala sconosciuto. Pura arte astratta che però non rinnegava del tutto l’iconografia del simbolo che seppur minimo si riduceva, qui e ora, semplice segno colorato.

Cammino per il corridoio della sua casa di via Egidi e tra gli altri, mi soffermo su due quadri, due omaggi a Tapié, uno del 1977 e uno del 2009. L’arco di una vita, di una vita – allora – ancora piena di promesse che il brulicare di quei puntini luce testimonia e di una vita – ora – dove quell’alfabeto si è trasformato in solidi blocchi di legno che indicano però la stessa sorgente affettiva. Una sorta di epitaffio. Lo stesso quadrato, le stesse dimensioni, la stessa ammirazione, lo stesso oro zecchino a far risaltare, che cosa? Quel connubio che si era creato, tra la pittrice e un “amatore d’arte” che ha saputo provocare quell’incantamento alla base di ogni creazione artistica.

«La materia non è importante purché si modelli sotto il mio impulso. Gli avvenimenti non sempre piacevoli, mi hanno modellata, ma certamente mi è sempre piaciuto trasformare la materia.

In cucina, nell’orto, in giardino niente ricette, fantasia». 

«… eppure io paragono la mia opera a una pagina compositiva di John Cage, che negli anni 50 si avvicinò al buddismo zen, meditazione sul vuoto, ai Ching, alla filosofia matematica… Capisco che se io paragono il mio quadro a una pagina compositiva di John Cage lei rimarrà perplesso e mi prenderà per pazza, ma non è così, indeterminato, spaziale, certamente non convenzionale, da leggersi come più ci piace… il passaggio dal figurativo all’astratto ha sempre bisogno di meditazione».

Nene ricorda senza compiacimenti il suo incontro con Tapié quando lo invita nel suo studio a visionare le sue tele. Non sembrano entusiasmarlo. Lei spiava la sua faccia e lo vede finalmente illuminarsi quando tira fuori da dietro il comò quel quadro che Michel chiamò ‘Numeroter’. «Quell’opera è stata realizzata mi pare nel 1973 e io non avevo ancora raggiunto, approfondito il come e il perché di quanto ho capito solo in seguito. Prima è venuto il segno e solo successivamente lo spirito».

«Purtroppo ho avuto in gioventù dei pessimi insegnanti e sono un’autodidatta. Gli insegnanti del liceo artistico di Torino non avevano quasi nulla da insegnarmi, quarantenne ho frequentato la scuola di scienze sociali di Adriano Olivetti, i docenti della quale erano i migliori degli anni Sessanta. Era aperta solo a chi possedeva la maturità classica o scientifica ma quell’anno (1967) fecero un’eccezione per me, unendo gli studi filosofico sociali alla frequentazione dell’ICAR di Michel Tapié sono uscita dalla mia ignoranza».

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